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ALBERTO TOMBA

ALBERTO TOMBA

Era il 27 Febbraio del 1988. L’Italia come da tradizione è incollata davanti allo schermo a guardare Sanremo. Ma il sacro rito viene interrotto. Perché c’è Tomba “la bomba” alle Olimpiadi. Che vince il suo secondo oro a  Calgary.

Perché Alberto Tomba non era solo un atleta. Era un stile di vita. Sulle piste così come tra la gente. Guascone, spensierato, irriverente. Rappresentando un modo di essere italiano. E con quella voglia di spaccare il mondo mettendo gli sci a valle.  

A manifestare la potenza sui campi. Quasi a fagocitare i paletti dello slalom. Ad inglobarli nel passaggio. Con la rabbia della giovinezza. E allo stesso tempo con la sensibilità delicata dei suoi piedi. Con quella scorrevolezza quasi in contraddizione con un fisico debordante.

Eccessivo in tutto. Nelle vittorie come nella vita. E con quell’eloquio quasi incomprensibile. Forse per il troppo voler dire. Come se le parole non andassero dietro ai pensieri. E alle sensazioni. Quasi un  simbolo di abbondanza. Come quell’Emilia che l’ha cresciuto e cullato.

Ma poi questa esuberanza si quietava sulla pista, quando aggirava i paletti come fosse guidato da un algoritmo. Un piccolo computer che guidasse i movimenti con la forza di una logica meccanica.

Ha vinto tanto Alberto Tomba. E lo ha fatto con l’entusiasmo di chi diventa il simbolo di una nazione. E con l’orgoglio di chi  ha incollato davanti alla tv milioni di italiani.

 Ad esultare per una vittoria in uno slalom come di fronte ad un gol.