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PIETRO MENNEA

PIETRO MENNEA

Sei un ragazzo del Sud. E hai un dono. Corri veloce. Più veloce del vento caldo che d’estate vien da terra. E hai sogni che corrono più veloci delle tue gambe. E la tua terra ti sta stretta. Perché è il mondo che vuoi conquistare.

E la voce si diffonde subito. Ché da quelle parti non si è mai visto una cosa così. Due gambe che mangiano l’asfalto. Tanto che cominciano le sfide sugli stradoni di Barletta. A confrontarsi con le  macchine sportive dei giovani danarosi. Per soldi. Tu che sei nato da famiglia modesta.

Ma il talento non è sufficiente. Se vuoi gareggiare con chi, per costituzione, ha un fisico scolpito per la velocità. O chi, come i sovietici, fa della pratica sportiva una scienza.

E allora ti tocca lavorare. Sacrificarti. Impegnarti in allenamenti massacranti. Far crescere i tuoi muscoli per fargli sopportare lo sforzo e il dolore. Quel dolore che nasce dalla voglia di primeggiare. Per trovare quella energia che nasce dalla volontà. Una volontà così forte da farsi ferro.

 Perché il sogno si realizzi occorre determinazione.

E il sogno si realizza quando il 12 settembre 1979 diventi l’uomo più veloce del mondo sui 200m.  E poi dopo un anno vinci la medaglia d’oro a Mosca alle Olimpiadi. E allora sai che tutta la fatica, tutto il lavoro, tutto il dolore hanno un significato. E rivedi la tua vita con l’orgoglio di chi ha lottato per arrivare lì. Sulla cima del mondo.

Perché il talento ti fa corridore. Ma è la fatica a farti campione.