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WALTER ZENGA

WALTER ZENGA

Da un palo all’altro. Con le braccia tese. Come a descrivere delle parabole col proprio corpo. Come a sfidare la forza che inesorabilmente ti trascina al terreno. Godendo di quel momento in cui i tuoi piedi non toccano terra e tu imiti il volo degli uccelli.

Walter Zenga volteggiava sulla linea di porta. La sua casa. Il suo regno. E il tuffo era il suo modo di stare in porta. Di stare al mondo. Lanciandosi con il corpo come un funambolo senza rete. Provando sempre il brivido dell’essere sospeso per aria.

Non la seraficità dei portieri di posizione. Ma la fantasia e la spettacolarità di chi aleggia tra i pali. Circense nelle sue evoluzioni. Godendo del momento in cui lo stadio rispondeva con un boato al miracolo sportivo.

Ripercorrendo lo stereotipo del portiere pazzo. Sia nel parare che negli atteggiamenti. Quasi sbruffone a volte. Sempre lì a raccogliere sfide. A mettere la faccia. A combattere in prima persona.

 E questo sentimento sembrava riproporlo in campo. Quasi sfidando gli attaccanti. In un duello che diveniva personale. E lui ribatteva puntuale. Quasi imbattibile tra i pali. Quando non doveva meditare ma far agire l’istinto. Quando il corpo, come mosso da un tremito, reagiva immediato agli attacchi avversari.

Meno efficace quando il tempo imponeva il ragionamento. Come nelle uscite alte. Il suo tallone d’Achille. Come nel mondiale italiano. Il suo grande cruccio. La sua dannazione.

Comunque mai banale. Nessuna intervista preconfezionata. Mai accondiscendente. Perché Walter Zenga viveva di passione. Come quella per la sua Inter. Amata fin da bambino. Seguita in curva allo stadio. E poi in campo come fosse un marchio del suo essere. Tanto che difendere la porta della sua squadra diventava vitale. Ed ogni gol preso una ferita sul suo corpo.

Lo chiamavano l’uomo ragno. Forse perché con i suoi tuffi sembrava tessere una tela. E come un ragno non aveva timore di cadere.

Record: 473 presenze nell’Inter

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