Capita poche volte nella storia che il talento si concentri tutto in un luogo. La Atene dell’antichità, la Firenze del Rinascimento, la Parigi di inizio Novecento. Come se lo spirito del tempo mettesse radici.
Così una città Budapest. Una nazione l’Ungheria. Dove questo spirito trova la sua dimora e prende la forma di piedi sapienti e fisici atletici. E così nello stesso periodo nascono giocatori talentuosi e tecnici innovativi. Che rinnovano questo gioco. Mostrando che può diventare una forma d’arte. Che nella sua bellezza diventa metafora della vita.
Tra il 1950 e il 1954 questa nazionale non perderà mai. 29 vittorie e 3 pareggi. Una Olimpiade e una sfida epica a Wembley. A dare lezione di calcio ai fondatori di questo sport. Profanando il tempio del calcio. 6-3 agli inglesi.
Finchè nel 1954 non arriva il tempo della consacrazione. Salire finalmente sul tetto del mondo per dare un’ufficialità a quello che tutti sanno. Che i più forti sono i magiari. Con la loro tecnica e quella sagacia tattica che reinterpreta il vecchio Sistema in modulo ad M. Quasi ad anticipare il calcio totale olandese.
4 luglio 1954. Finale con la Germania. Con quel dubbio sull’uomo migliore. Un Puskas azzoppato. Ma come fai a non far giocare un uomo che ha fatto del suo tiro un trattato di balistica?
Così la partita comincia con quel prevedibile dominio e con l’ineluttabile vittoria che il mondo si aspetta. Pochi minuti ed è già 2-0. Con il pubblico pronto a guardare l’ennesimo sfoggio di spettacolo. Ma il Dio del calcio gira la testa e una Germania mai doma, come nella sua natura, rimonta e negli ultimi minuti vince. Una vittoria così incredibile da essere ribattezzata “il miracolo di Berna”.
A testimoniare come la storia sia fatta di momenti.