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ROMEO BENETTI

ROMEO BENETTI

O gamba o pallone. È indifferente. Ma di qui non si passa. Magari potrà passare il pallone ma il tuo corpo no. Rimarrà sofferente sul terreno a rimpiangere di aver osato. Perché il mio compito è di spezzare il gioco. Romperlo. Non dargli fluidità e ritmo. E seminare il terrore.

Romeo Benetti era un mediano di rottura. Uno di quelli che avresti portato in guerra. Perché lui a centrocampo rappresentava una diga. Con quel fisico sgraziato ma possente da taglialegna altoatesino.

A segnare il suo territorio come limite invalicabile.

Il fallo come parte del gioco. La durezza da esibire come un monito. Perché gli altri arretrassero di fronte a lui. Perché il fantasista avvertisse la paura quando aveva la palla tra i piedi. A giocarla di fretta per timore di essere falciato. A guardarsi alle spalle per individuarne la presenza.

E quello sguardo inespressivo. Come di chi esegue il suo compito con naturalezza. Come la cattiveria fosse scritta nel suo destino. Nessun pentimento o rimorso. Ma solo un’indole che non può arretrare. Ché la partita di pallone è una campo di battaglia. E il contributo di chi distrugge è prezioso quanto il lezioso tocco del trequartista.

Con quei baffoni incolti da vichingo predatore. Anche loro parte essenziale a descrivere un’immagine iconica. Come di chi interpreta il calcio come una guerra.

Eppure aveva piedi buoni. E i suoi gol li ha sempre segnati. Perché non sapeva solo rompere ma anche costruire. Ma si trovava a suo agio quando il pallone ce l’avevano gli altri. In attesa che qualcuno invadesse la sua zona. A raccogliere la sfida di chi usurpava il suo territorio.

Perché Benetti aveva la cattiveria del combattente. Di chi non si rassegna mai. Di chi pensa che non sia uno sport per signorine. Ma il più virile degli sport. Calcio Graffiti

Record: 457 presenze in Serie A 76 gol