Avevo 7 anni. Ero da mia nonna. I “miei” mi aveva lasciato lì perché dovevano andare a vedere una partita importante con gli amici. Una partita impossibile mi aveva detto mio padre. Contro i maestri del calcio. I brasiliani. E io non sapevo neanche dove fosse il Brasile. Né tanto meno conoscevo il calcio e le sue regole.
Ero sul balcone che giocavo con le macchinine. Quando tutto ad un tratto si sentì un boato. E rumori di tromba bitonale. E poi bandiere che comparivano sui balconi. Corsi in cucina davanti alla tv e vidi che aveva segnato l’Italia. Come calamitato cominciai a seguire la partita.
Partecipai con passione. Ad ogni gol del Brasile correvo in bagno per lanciare una bestemmia. Che allora mi era proibita. E ad ogni gol dell’Italia facevo il giro della casa. Urlando a squarciagola. E alla fine della partita ero anch’io sul balcone a cantare.
Capii allora che l’attaccante dell’Italia si chiamava Paolo Rossi. E che lui aveva fatto piangere i brasiliani. Non riuscivo però ancora a capire perché avessero annullato un gol ad Antognoni. Per una strana ed incomprensibile regola chiamata fuorigioco.
Da quella partita seguii tutto il resto del mondiale. Mi era partita la febbre. Mi piacevano le maglie, i giocatori, i movimenti. E le feste delle tifoserie. Avevo scoperto la mia passione.
E mia madre mi cucì la bandiera che mettevamo sul balcone e che mi mettevo addosso per le partite dell’Italia.
La finale la vedemmo da una cugina di mia madre. Ricordo che tutti aspettavamo il gol di Paolo Rossi come una cosa inevitabile. Come si attende la mezzanotte a Capodanno. E lui segnò.
E poi fu festa sul lungomare della mia città. Con la gente per strada e le macchine bloccate nel traffico. E io che pensavo che da grande avrei fatto il calciatore.
L’estate del 1982 la passai nel mio cortile. A giocare a pallone.