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OMAR SIVORI

OMAR SIVORI

Lo chiamavano “El Cabezon” per quella testa molto più grande del corpo e quella chioma corvina che faceva capolino. Questo corpo sproporzionato che mai avresti pensato così agile per sorreggere un capo così pesante.

E invece lo vedevi entrare in campo con fare borioso e quei calzettoni abbassati come a voler marcare una differenza. E poi quando riceveva palla la sfida all’avversario da brutalizzare. Quasi lo sfidava e lo invitava al confronto per “scherzarlo”.

Magari con quel colpo strano per il calcio di allora: il tunnel. Aspettava che il difensore si avvicinasse per dare un colpetto al pallone e farlo passare tra le sue gambe e poi riprendere la palla dall’altra parte del suo corpo. La peggiore delle beffe, la peggiore delle vergogne per un difensore.

Quel gusto sadico di vedere disonorato l’avversario. E quei dribbling infiniti con giravolte e piroette, ché di staccarsi dal pallone non gli riusciva facile.

Un individualista in una società, La Juventus, e un’azienda che del lavoro collettivo aveva fatto il suo credo. Un anarchico in un covo di precisi cronometristi. Lui che di allenarsi e di fare fatica non aveva tanta voglia. Quasi un divertissement per i magnati dell’industria che la domenica volevano divertirsi e staccare dalla routine per saggiare l’eccentricità del genio.

Poi ci voleva la fantasia ad equilibrare l’eleganza razionale di Boniperti e la brutale forza fisica di Charles. Una sorta di armonia degli opposti. Un trio che permise alla Juve di vincere 3 scudetti.

Carattere bizzoso, difficilmente addomesticabile quello di Sivori, così dentro come fuori dal campo. Bandiera di un calcio individuale difficilmente incasellabile in un rigido schema, se non quello del “prendi palla e inventa”.

Così, quando Heriberto Herrera, allenatore della Juventus, volle riportare l’ordine, imporgli orari e fatica, lui scelse di andare via verso Napoli dove avrebbe potuto continuare a fare calcio come solo il suo piede sinistro gli comandava.

Non altri che volevano legarlo ad imposizioni da caserma che avrebbero ingabbiato il suo talento. Bloccando la sua libertà di inventare.

E così andò via, accolto dal visibilio e l’adorazione della gente che vedeva in lui la speranza di una epifania calcistica. Tanto simile nell’aspetto agli scugnizzi dei vicoli. Con quel gioco che somiglia tanto a quello dei più talentuosi che, tra le piazze della città vecchia, prendono palla e decidono di fare da soli. Chè i compagni servono solo per difendersi.

Perché la razionalità va bene per costruire macchine ma per giocare a pallone devi avere tocco e fantasia. E un briciolo di insana follia.

Record: 259 presenze nella Juventus 174 gol