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MAI DIRE GOL

MAI DIRE GOL

Basta entrare un lunedì mattina in un bar e osservare. E guardare gli sfottò. Tra tifosi di diverse squadre. O addirittura di tifosi verso la propria stessa squadra. Perché il calcio è argomento popolare. E quindi soggetto all’ironia sferzante di un popolo che della battuta salace fa vessillo.

Perché di calcio si può ridere. Anzi si deve ridere. Anche in modo aggressivo. Provocando la reazione stizzita del tifoso beffeggiato. Perché l’ironia è la più grande forma d’intelligenza.

Mai dire gol prende in giro il gioco del calcio e lo fa con intelligenza. Inventandosi una voce fuori campo.

Anzi tre. Che commentano lisci memorabili e interviste impossibili. A farsi beffa di chi assurge agli onori delle cronache ma non ha mai avuto dimestichezza col vocabolario. O giocatori incappati in una giornata sfortunata. Senza farsi mai vedere. Solo voci impertinenti a rimarcare il goffo e l’inetto.

E poi la trasmissione si amplia. Acquisisce consapevolezza e diventa laboratorio comico. Con le imitazioni di giornalisti, giocatori e allenatori. Oppure inventando personaggi intorno al mondo del pallone. Annoverando la migliore classe comica italiana. Teo Teocoli che passa dal milanese Peo Pericoli al napoletano Caccamo con un Vesuvio kitsch alle spalle. O Gene gnocchi col bergamasco Rubagotti, col suo dialetto biascicato per il suo troppo bere. E poi Antonio Albanese e il foggiano Frengo, a descrivere iperboli psichedeliche.

Tutta l’Italia rappresentata. Con i suoi dialetti, con le sue maschere. A creare personaggi che rappresentano un diverso modo di guardare al pallone.

E con quella continua ricerca del tormentone. Come ad imitare un jingle pubblicitario. Battute e situazioni ripetute in modo ossessivo tanto da diventare quasi luoghi comuni da citare nei discorsi quotidiani. O da riproporre il giorno dopo a scuola o al lavoro.

Man mano che la trasmissione va avanti, prende sempre più le distanze dal mondo del pallone. Diventando sempre più un format per una libera comicità. Quasi nel tentativo di prendere le distanze da un contesto troppo limitante. Forse perdendo quella piacevole perfidia che c’è nel canzonare il più serioso degli spettacoli. Calcio Graffiti