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LOTHAR MATTHÄUS

LOTHAR MATTHÄUS

Senti i muscoli vibrare. Senti che vogliono tendersi. Liberarsi dall’inerzia. E sviluppare energia. La potenza del movimento. Perché dentro di te c’è un fuoco che non si estingue. Che ti porta ad andare avanti. Continuamente. Senza tregua. Perché i tuoi muscoli vogliono cibarsi di campo da percorrere e di avversari da contrastare. Perché non puoi non assecondare il tuo corpo.

Quando Lothar Matthäus partiva in progressione, vedevi le zolle alzarsi e il campo andare in frantumi.

Con quella corsa che solcava il terreno. A marcare il territorio. A segnare il passaggio. E quasi si disfaceva degli avversari. Non li dribblava. Coprendo la palla con i suoi muscoli.

E poi quel tiro che era la continuazione di quella corsa potente. Quasi dovesse adempiere ad un compito dettato dal suo corpo. I muscoli che guidavano il cervello in una curiosa inversione dei compiti.

Un panzer che con i suoi cingoli marcava il campo. Tutto il campo. Perché la sua corsa era indefessa. Senza mai un’esitazione. Con la convinzione di chi conosce la sua forza. E ne dà sfoggio per intimorire gli avversari.

Non aveva il fisico del tedesco Matthäus. Non era biondo e alto. Ma della Germania portava la durezza dell’accento e quella voglia di non arrendersi mai. Anche quando non c’è più speranza, anche quando pensi che la fortuna ti abbia girato le spalle.

Una potenza derisa dalla fortuna, quando nella più beffarda delle finali di Champions subisce una rimonta impossibile dal Manchester United col suo Bayern. E quel viso spigoloso e duro si scioglie. Si liquefa. Per quel trofeo che non sarà mai suo.

A mostrare il volto umano della potenza. Calcio Graffiti

Record: 150 presenze con la Germania 23 gol