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LE TELECRONACHE DI BRUNO PIZZUL

LE TELECRONACHE DI BRUNO PIZZUL

Quando sentivi la sua voce voleva dire che ti dovevi accomodare. La partita stava per iniziare. Perché la sua voce era inconfondibile. Così calda e con quella tendenza a rendersi acuta nel sottolineare i momenti. Marcando sempre così tanto che le frasi sembravano un coacervo di doppie. TOLLLLLLDO!!!!

Con la pacatezza appresa dai grandi della storia. Martellini e Carosio. Da cui riprende l’essenzialità. L’idea di non sostituirsi alla partita. Ma di affiancarla. Di accompagnarla suggerendo allo spettatore. Senza voli pindarici o inutili virtuosismi.

A questa tradizione aggiunge il pathos. La partecipazione testimoniata dall’inclinarsi della voce. Che si impenna per rimarcare il momento. Come quel “Sì” dopo un rigore segnato. Lontano dalla freddezza delle telecronache che furono.

Forse perché Bruno Pizzul giocatore lo era stato. In Serie A. E telecronista lo era diventato un po’ per caso. Dopo un concorso per telecronisti. E subito lanciato nei Mondiali del 1970. E nelle sue telecronache sente ancora scorrere l’emozione di chi rivive i momenti della sua vita. L’empatia che nasce da una facile immedesimazione.

E così per la prima volta in tv alla fredda cronaca si sostituisce l’emozione. La gioia ma anche lo scoramento. Come la descrizione dei maledetti rigori dei mondiali degli anni 90. O come quando in un impeto di rabbia pronuncia un discorso funebre sull’Italia di Sacchi in Italia-Nigeria dei Mondiali del 1994. Dandola già per morta.

Come i grandi calciatori dei suoi tempi, anche Bruno Pizzul non è mai riuscito a vincere un trofeo con la Nazionale. A raccontarlo. A descrivere quel momento con la semplicità partecipata delle sue parole.