Ore 6:30. La levataccia. Anche se è domenica oggi ci si alza presto che c’è da fare 400km.
Non abbiamo più l’età per queste cose. Ma le facciamo lo stesso perché ci fa sentire così vivi. Tutti abbiamo compagna e prole ma la domenica rimane consacrata al pallone.
Siamo in quattro in macchina. Amici da sempre. Andavamo allo stadio da quando frequentavamo le superiori e cercavamo di entrare col biglietto “attaccato”. Oppure facendo il nome del maresciallo della finanza che abitava di fronte al mio palazzo.
Adesso continuiamo ad andare in curva ma paghiamo regolarmente l’abbonamento perché siamo professionisti affermati.
Partiamo alle 8. La partita inizia alle 15. Abbiamo sistemato la sciarpa sul cruscotto. Bella in vista. Abbiamo poi caricato la riserva di birra. Un trentina di lattine che serviranno durante il viaggio. Ché bisogna arrivare biascicando e malfermi sulle gambe perché l’alcol fa parte della trasferta.
Ci fermiamo più volte in autogrill con la maglia della nostra squadra. Qualcuno ci sfotte e altri ci deridono. C’è anche chi ci insulta. Ma per noi ormai la fede calcistica è il modo per ricordare la nostra amicizia. Il modo per uscire dalla quotidianità e tenere viva la passione.
Non abbiamo voglia di litigare con nessuno. E poi quando sono brillo, divento spaventosamente docile e ho voglia di fare amicizia con tutti.
Alle 13 arriviamo allo stadio e ci facciamo un panino con la salamella dal camioncino. Quello bello zozzoso. E finalmente ci incanaliamo in coda tra i celerini e gli steward. Dopo filtraggi infiniti siamo dentro.
Per me rimane sempre la stessa, la commozione quando entro in uno stadio. Quando vedo il prato verde e sento il boato delle curve. Mi prende il magone. È più forte di me.
Rivedo tutti quelli che seguono la squadra ormai da 20 anni. Ci defiliamo un po’ dal centro del tifo. Ma cantiamo lo stesso e tra una sigaretta e una birra arriva la partita.
Partecipiamo a tutti i cori. Delle volte mi manca il fiato. Un po’ perché sono alla decima birra e un po’ perché la squadra vince 3 a 0 e ho urlato tanto che le forze mi son venute meno. E poi mi son fumato un pacchetto di sigarette e i polmoni chiedono venia.
La partita finisce e dopo l’attesa affrontiamo il ritorno. Esausti. Non parla nessuno in macchina. È il down della domenica sera. Domani si torna al tran-tran quotidiano. Ai figli, alle compagne, al lavoro.