Vai al contenuto

ITALIA ARGENTINA. IL SOGNO INFRANTO

ITALIA ARGENTINA. IL SOGNO INFRANTO

Semifinale Campionati del mondo

Napoli, 3 luglio 1990

Risultato 3-4 d.c.r.

Estate del 1990. Le notti magiche. Una nazione che attende con trepidazione ogni partita. Per poi riversarsi in piazza tra caroselli e bandieroni. Una festa come non si era mai vista prima.

Fino ai quarti di finali l’Italia ha sempre giocato a Roma. In un trionfo di bandiere tricolori. E trionfale è il suo cammino. Neanche un gol subito. Scoprendo nuove stelle come Baggio e Schillaci.

Per le semifinali la nazionale deve lasciare la capitale. Per approdare a Napoli. Contro l’Argentina. Per quello che rappresenta un derby nel cuore dei napoletani.  Maradona o l’Italia? Difficile per chi guarda a quel numero dieci come ad un semidio sceso in terra.

E ovviamente Maradona, con la furbizia che gli è propria, cerca di alimentare questo dissidio. Esacerbando il conflitto tra nord e sud. Cavalcando la rabbia dei meridionali verso un nord, a suo dire, razzista. E anche qui il Pibe si fa capopopolo.

Arriva la partita. Il pubblico tifa Italia. Non lo stesso fervore dell’Olimpico ma la posizione è netta.

Partono bene gli azzurri che, al 17’, passano in vantaggio. Con un’azione fatta di fraseggi stretti che portano al tiro di Vialli respinto da Goycochea. Sulla respinta si fionda Schillaci che vuole colpirla di destro. Ma il pallone impatta sulla gamba d’appoggio determinando una traiettoria beffarda. Testimonianza ulteriore di come, quell’estate, il Totò Nazionale fosse stato baciato dagli dei. È 1-0.  La strada sembra in discesa.

E invece la partita si fa rognosa. Bilardo la rende sporca. Numerosi falli. Fonti di gioco dell’Italia inaridite. Match continuamente spezzettato. Le trame piacevoli delle partite romane non si vedono. E intanto l’Argentina spera che tra le linee Maradona inneschi la rapidità selvaggia della chioma bionda di Caniggia. E così succede.

È il 68’. L’azione inizia da Maradona che smista sulla fascia per Olarticoechea. Parte così un cross all’apparenza innocuo. La difesa è piazzata ed ha ormai l’aura dell’imbattibilità. Ma una marcatura non perfetta di Ferri e una maldestra uscita di Zenga permettono a Caniggia di insaccare di nuca. L’incantesimo è rotto. La camminata trionfale si arresta. L’Italia subisce il primo gol del mondiale.

Di qui una partita brutta. A tratti cattiva. Come per l’espulsione di Giusti per una gomitata su Baggio. Di certo l’Argentina la conduce su un registro a sé congeniale. Trascinandola con mestiere e astuzia ai rigori. Perché l’Italia non riesce a creare occasioni limpide. Bloccata dalla paura e dalla sorpresa.

Così si arriva ai rigori. E stavolta l’eroe non indossa il numero 10, ma difende la porta dell’Albiceleste. Perché Goycochea è un pararigori. Con un istinto che gli permette di muoversi sempre all’ultimo momento. Non concedendo nessun vantaggio ai tiratori. I primi tre rigori non li para, ma di poco. Perché lui è sempre lì. Così quando Donadoni, in situazione di parità 3-3, va sul dischetto, il presagio è funesto. E infatti la para all’angolino destro.

Poi Maradona batte il suo rigore col suo caratteristico tiro al rallenty. E con Zenga che quasi rassegnato battezza l’angolo sbagliato.

E infine va Serena sul dischetto. Con la tensione che gli morde i tacchetti. E per combatterla decide di usare la potenza. Ma Goycochea con una voglia pari alla sua furbizia si stende sopra il pallone. Portando l’Argentina in finale.

Il popolo delle notti magiche assiste incredulo. Perché sembrava segnato il cammino della vittoria. E invece a questo volere ineluttabile si è frapposto un semidio prestato al calcio, la furbizia di un portiere e il mestiere degli argentini.

Il sogno si è infranto.