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IL PALLONE DI CUOIO

IL PALLONE DI CUOIO

Ogni anno, invariabilmente, la Befana mi portava il pallone di cuoio.

Lo ordinavo mesi prima per il regalo che l’azienda di mio padre faceva ai figli dei dipendenti. Potevo scegliere tra soldatini, macchine telecomandate e giochi da tavolo. Io sceglievo sempre il pallone di cuoio.

Non dolciumi nelle calze. Ma un bellissimo pallone a pezzature bianche e nere. Che quando si apriva la scatola odorava di pellame. E io sniffavo quel profumo come facevo con le figurine appena comprate.

E appena scartato lo riponeva nell’armadio. E puntualmente ogni ora andavo a controllare che fosse ancora lì. Che nessuno fosse andato a profanare il mio tesoro.

E quando scendevo in cortile per giocare, quando si cercava un pallone, io facevo finta di non averne uno. E così ripiegavamo sul Tango o sul Super Santos.

Perché sull’asfalto si sarebbe rovinato. E io non avevo la siringa per gonfiarlo. Né tanto meno il grasso di foca da cospargere. E inoltre questa cosa del grasso mi sembrava una leggenda tramandata tra i bambini. E poi volevo conservarlo intonso nel mio armadio con quell’odore originario.

Finché non arrivava il giorno in cui, disperati alla ricerca di una palla, ammettevo davanti alla comitiva di avere un pallone di cuoio. E tra gli insulti e gli ammonimenti dei compagni andavo a recuperare la reliquia per consegnarlo al calcio di strada.

Già dopo le prime partite notavo dei graffi. E man mano perdeva il suo caratteristico odore. Finché non cominciava a perdere pezze. Fino a diventare di un vomitevole grigio e pian piano acquisire quella peculiare forma gommosa.

Il mio pallone di cuoio diventava uno schifosissimo e informe pallone rimasticato.

Per fortuna ogni anno arrivava la Befana e me ne consegnavo uno nuovo. Candido e profumato.