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HELENIO HERRERA

HELENIO HERRERA

Herrera si guardava allo specchio. E si piaceva. E orgoglioso affrontava il mondo. Nella consapevolezza vanesia di essere migliore degli altri. E di poter primeggiare sugli altri.

Helenio Herrera amava se stesso. Più di tutti gli altri. E questo “amor proprio” lo conduceva ad esasperare il ruolo dell’allenatore. Non più solo responsabile tecnico. Ma psicologo, farmacologo, medico. Tutto lo spettro dell’umana conoscenza.

Lui coordinava tutto. Nella convinzione di stare dalla parte della verità. Perché i risultati gli hanno sempre arriso. Prima in Spagna con Atletico Madrid e Barcellona. Poi in Italia con quella grande Inter che si citava a filastrocca. “Sarti Burgnich Facchetti…”.

Grande motivatore di uomini. In grado di rendere campioni degli onesti lavoratori della pedata. Con la forza della convinzione. Con quella pervicacia data dalla estrema fiducia in se stesso. Nella certezza di poter plasmare la materia informe. Come con i cartelli motivazionali esposti nello spogliatoio. A fortificare la mente e lo spirito.

E in questa consapevolezza imponeva tariffe esorbitanti per i suoi ingaggi. Coi presidenti che si piegavano alle sue richieste. Come ipnotizzati dalla personalità dell’uomo.

Forse perché la povertà l’aveva vissuta. Migrando tra i continenti. Prima con la famiglia in Argentina. E poi ancora con la famiglia in Marocco. Per poi migrare in Francia a raccattare qualche spicciolo in una onesta vita da calciatore. Integrando la magra paga con un’attività di venditore. Capendo sulla propria pelle il valore del denaro.

È forse dal sapersi districare nell’arte del vivere che deriva la sua fama di bugiardo. Mentitore seriale nel tentativo di ricostruire la sua esistenza. Millantatore di scoperte calcistiche e tattiche. Come quando si intestava la paternità del “catenaccio”.

E poi unico nel sapere innescare polemiche ad arte. Per accentrare i riflettori su di sé. Così a proprio agio davanti ad una telecamera. Per distoglierli magari dalla squadra.

Lo chiamavano “mago”. Magari perché sapeva domare il destino a suo favore. O magari perché, dopo di lui, il ruolo del mister non fu più lo stesso. Diventando figura centrale nelle sorti di una squadra.

Ha vinto tutto il “mago”. In Italia, in Europa, nel mondo. Con grinta e determinazione.

 Lasciando la testimonianza di un uomo che dalla vita non si è fatto mai trascinare. Ma l’ha guidata come fa un grande mister.