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GRECIA 2004. LA FAVOLA EUROPEA

GRECIA 2004. LA FAVOLA EUROPEA

Capita talvolta. Capita l’impossibile. Che una piccola nazione fatta di isole e montagne vinca. Che tra l’incredulità di tutti batta la supponenza dei grandi. Di chi per tradizione e forza ti guarda con alterigia.

La piccola Grecia era una squadra materasso. Una pratica da sbrigare. Di quelle partite dove far girare palla e trovare il pertugio giusto. Per scardinare difese arroccate.

E invece il mago Rehhagel riscopre un calcio antico. Fatto di marcature ad uomo e contropiede. Resuscitando un ruolo ormai defunto. Il libero. Con tale Dellas che nella Roma fa la panchina. E qui invece comanda la difesa a testa alta. Chiudendo e lanciando.

E con giocatori comprimari. Che si barcamenano nel calcio europeo. E che qui si raccolgono a far fronte unico. A difendere compatti. Granitici. Come quelle rocce nere spaccate dal sole delle isole dell’Egeo.

Un muro contro cui si frangono le corazzate. Non più abituate al contatto fisico incessante della marcatura. E a questa diga che spinge indietro le velleità offensive.

La vittoria del sacrificio. E dell’umiltà. Con il gol di Charisteas nella finale contro il Portogallo padrone di casa. Ché le lacrime non bastano a contenere l’amarezza. Per un Europeo ormai ad un passo.

Nessuno dei protagonisti di quell’impresa diverrà un campione. Neanche Charisteas. L’eroe della finale.

Ma il pallone ci racconta talvolta delle favole.

La favola degli ultimi che arrivarono primi.