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GIOVANNI TRAPATTONI

GIOVANNI TRAPATTONI

Il mito racconta che in un Italia-Brasile del 1963 abbia marcato niente di meno che Pelè e “O Rei” non abbia mai toccato palla. Giocatore arcigno era il Trap.

Uno della scuola di Nereo Rocco che al Milan ha vinto tutto ma soprattutto al Milan ha imparato che il calcio lo fanno anche gli operai. E quella praticità mutuata dal “Paron” la porterà nella sua esperienza in panchina.

Profeta del calcio all’italiana (almeno così è sempre stato visto) non hai mai elaborato teorie innovative né immaginato rivoluzioni. I calciatori si devono mettere lì dove il buon Dio li ha destinati.

Se ha la falcata lunga lo schiero a terzino, se ha polmoni d’acciaio e polpacci di marmo lo si fa mediano, se ha piedi buoni lì dietro le punte ad immaginare calcio.

Figlio della provincia milanese porterà sempre con sé l’idea del lavoro e del sacrificio, forse frutto di un’infanzia che accomunava tutti nella povertà del dopoguerra.

Rimarrà sempre forte la sua natura popolare, eredità di quella vita di periferia. Anche quando durante le interviste sciorinava proverbi e detti come un nonno fa di fronte ad una tavola imbandita o quando portava la bottiglietta dell’acquasanta in panchina.

Per questo saprà indossare perfettamente la maschera del buon padre di famiglia, quello che sa gestire il gruppo, che sa gestire le bizze del campione e la maturità di chi ha una lunga carriera alle spalle.

In barba alla fama di difensivista il buon Trap ha saputo sopravvivere alla rivoluzione sacchiana, alla zona integrale e si è saputo sempre reinventare, studiando ed evolvendosi.

E ha cominciato anche a viaggiare abbandonando i rassicuranti lidi della Serie A e navigando verso Portogallo, Irlanda, Germania e Austria.

Portando ovunque la sua genuina passionalità che si esplicava anche in pose grottesche in panchina, come quando si muoveva in ginocchio, fischiando ai suoi giocatori come si faceva nei campetti all’oratorio.

Non ha mai avuto paura di cambiare il Trap perché non ha mai avuto una religione da difendere. Perché nel calcio vince chi si sa evolvere e lui si è sempre adattato con la capacità di adeguarsi ai tempi, alle mode e alle persone. Calcio Graffiti

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