Durante le interviste. Lo sguardo interdetto. Meditativo. Come di chi attendeva la fine della domanda. Per poter dar sfogo alle parole. Per liberare quel cumulo di pensieri che orbitavano nel cervello. Per trasformarsi in frasi iconiche. In brevi sintesi che racchiudevano un mondo.
Franco Scoglio era il Professore. Di fatto. In quanto aveva esercitato il mestiere. Ma anche sul campo. Per la complessità ardita dei suoi concetti. Tanto che talvolta si perdeva in essi dimenticando il filo logico. O abusando in parole che debordavano. Soprattutto in un ambiente abituato al luogo comune e alla frase fatta.
Tanto da parere ad alcuni tronfio. Con i suoi insegnamenti di tattica. E di vita. Perché rendeva fede al suo soprannome facendo di ogni suo intervento un principio di didattica.
Da sempre il Professore ha cercato di andare oltre. Fin da quando vagava tra i campi in terra della Sicilia e della Calabria. Lì tra i dilettanti. Cercando una visione oltre il convenzionale. Provando ad applicare schemi moderni fatti di pressing e “zona sporca”. Viaggiando tra i due capi dello Stretto. Tra Gioia Tauro e Messina. Città che gli dava la gioia del calcio professionistico.
Fino all’infatuazione della vita. Quel Genoa che amerà fino alla morte. In quella città di mare che assomigliava tanto al suo Meridione. Che nei vicoli odora di mare e di pesce. Come la sua isola. La Sicilia.
E come tutti i grandi amori controverso. Fatto di un’infinita passione e improvvisi divorzi. Alimentando una rivalità con l’altra parte della città caratterizzata da freddure e battute.
Se n’è andato parlando del suo Genoa. In uno studio televisivo. Manifestando ancora una volta il suo lato passionale. E il suo modo di intendere il pallone. Fatto di ragione e sentimento. Lui, sempre critico verso la freddezza di un calcio “aziendale”. Lui, che veniva dalla periferia del pallone.
Perché il Professore non voleva allenare. Voleva insegnare calcio.