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ENZO BEARZOT

ENZO BEARZOT

Cosa fa un buon padre? Un buon padre sa essere severo. Sa dettare le regole. È talvolta inflessibile. Ma lo fa solo per amore dei figli. E quando, la notte, si ritira nella sua stanza, pensa con affetto a loro. E capita che ci scappi anche una lacrima. Perché lui li difende dal mondo esterno. Gli costruisce una corazza.

Enzo Bearzot era un buon padre per i suoi giocatori. Severo, arcigno, di poche parole. Spigoloso come quel naso martoriato dai contrasti di gioco. Ma disposto a tutto pur di difendere il gruppo dalle insidie dell’esterno. Dagli attacchi dei giornalisti, dall’opportunismo dei politici, dall’aggressività dei tifosi.

Ché una squadra è innanzitutto un gruppo di uomini. E gli uomini sono disposti a tutto se sentono sulla loro pelle un’identità. Perché alla prima difficoltà il compagno ti aiuterà. Come si fa tra fratelli. Perché il sangue che scorre nelle tue vene è lo stesso.

Così il C.T. rimane spesso sordo alle sirene del campionato. Perché lui ha i suoi figli diletti. Che ha cresciuto e nutrito. Che ha allevato con l’etica del sacrificio. E allora i Pruzzo e i Beccalossi rimangono lì ad aspettare una chiamata. Chiedendosi perché. Invano.

Lo chiamavano il “Vecio”. Per quell’aria riflessiva che nascondeva sotto la pipa. A rendere il calcio una cosa semplice. Pratica. Ad imparare dalla tradizione. Rinnovandola. Con quel “contropiede manovrato” che sembra un ossimoro. Ma è l’idea che bisogna rimanere fedeli alle radici per guardare avanti.

Porta in Italia la Coppa. E mentre il mondo attorno delira, lui rimane pacato. A seguire il corso della sua vita.

Perché la vittoria è dei suoi ragazzi. Quelli che lui ha cresciuto e voluto. Nonostante tutto. Calcio Graffiti