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EMILIANO MONDONICO

EMILIANO MONDONICO

Serve un cuore per raggiungere grandi traguardi. Per correre quando ormai il fiato ha abbandonato i tuoi polmoni. Quando l’acido lattico ti sta rosicchiando i muscoli. Quando il sangue non irrora più il cervello.

Emiliano Mondonico era uomo di cuore. Poco disponibile a filosofeggiare di 4 3 3 o di ripartenze. Ché il calcio è sport di mentalità.

E, se non hai quella predisposizione d’animo, ogni strategia rimane vuota. E quindi cura l’uomo prima del calciatore. Insegnagli il sacrificio e l’umiltà. Perché un uomo penserà sempre prima alla squadra e poi a se stesso.

Interprete del calcio “pane e salame”. Di un calcio concreto, sanguigno. Lontano dai ghirigori dei teorici che il calcio lo disegnano sulla lavagna. No, lui il calcio lo vedeva in campo. E nel campo faceva sentire la sua presenza, sempre pronto ad incitare e a chiamare alla battaglia. Con quegli urli a richiamare l’attenzione di chi magari rifiatava a recuperare energie.

Lui che mai si sottraeva dalla lotta. E lo dava a vedere. Come quel giorno di maggio del 1992, ad Amsterdam. Quando di fronte ad un’ingiustizia, il Mondo mostrò la sua ribellione alzando una sedia per aria in segno di sfida. A mostrare che il cuore è più grande di ogni pensiero giudizioso. Ché si è allenatore di una squadra che del cuore ha fatto bandiera. Ad interpretare la storia e l’essenza del Toro.

O come quando con una provinciale cavalcò per l’Europa, sfidando i potentati del Vecchio Continente. Portando l’Atalanta a calcare campi che mai avrebbe pensato di vedere.

Ci ha fatto battere tanto il cuore il “Mondo”, adesso che il suo ha smesso di farlo. Calcio Graffiti