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DINO ZOFF

DINO ZOFF

Occorre mantenere la calma mentre tutto il mondo brucia attorno a te. Mentre gli altri si agitano, bestemmiano e diventano preda del panico, tu analizzi la situazione e decidi con lucidità cosa sia meglio fare.

Tu conosci la virtù della calma e della pacatezza.

Dino Zoff era così. Sempre lucido e pacato. Mai una sbracatura. Sempre attento.

Già nello stile. Con quell’ossessivo inseguimento della posizione perfetta. Perché un grande portiere non deve tuffarsi ma star lì dove la palla arriverà. Perché l’azione devi vederla prima. Studiare gli attaccanti. Guardare il movimento. E poi decidere la posizione.

Ché quegli slanci a far acrobazie in area li lasciamo ai circensi. A chi vuole strappare un facile applauso al pubblico. Ma un grande portiere no. Lui è essenziale. Si tuffa solo quando ce n’è bisogno. E quando si può, la palla si blocca.

Ma pacato lo era anche nei comportamenti. Con quella modestia connaturata. Quasi si vergognasse a comparire. Come ti dicesse che ci sono cose più importanti del calcio.

Con quel modo di parlare serafico e quelle labbra che a malapena si muovevano, tanto da emettere un insignificante sibilo.

E pur nella voglia pudica di rimanere inosservato, mostrava autorevolezza. L’autorevolezza dell’esempio. Di chi rappresenta un ideale da seguire. Di chi bada alla concretezza. Non a fumosi virtuosismi da equilibrista.

Un capitano a cui paragonarsi, quando pensi di essere arrivato e guardi gli altri con sufficienza. Per riprendere la strada dell’umiltà e della modestia.

L’abbiamo visto poche volte sorridere. Contraddistinto da quella serietà che confinava con la freddezza.

Ma un giorno di luglio del 1982 Dino Zoff si è sciolto in un largo sorriso. Alzando la più ambita delle coppe.

Da capitano. Da uomo vero. Calcio Graffiti