Quanto è dura alzarsi la mattina presto. Vorresti frantumarla in mille pezzi quella maledetta sveglia. Ma c’è da andare a lavorare a guadagnarsi il pane. Perché altrimenti chi la campa la famiglia?
Un lavoratore del gol. Questo era Dario Hubner. Uno che il gol lo faceva per professione.
Ché il calcio è un mestiere. Il più agiato dei mestieri.
Come quando a 16 anni faceva il fabbro e poi andava al campo ad allenarsi. Ché non c’è da farsi tante illusioni perché per vivere bisogna darsi da fare.
E allora vai a girare la provincia padana offrendo i propri servigi a paesi che, per uno del Meridione, paiono nomi di lontane località di montagna. Finché non arrivi al Cesena e poi a Brescia in serie A e infine al Piacenza. Sempre con lo stesso obiettivo. Sempre con la stessa tenacia di quando avevi un padrone e dovevi stare sul cantiere. Ché tutto quello che ti arriva nella vita è solo frutto del tuo lavoro.
E tutto ciò che viene, la gloria, il pubblico che intona il tuo nome, le paginate dei giornali, è tutto un di più. Così quando arrivi a casa ti rilassi e ti fumi la tua Marlboro rossa e a fine cena sorseggi il tuo grappino. Ché il giorno dopo si ricomincia.
Lasciata la Serie A Dario Hubner ha continuato a navigare nella provincia. Offrendo il suo talento alle categorie inferiori. Perché non ci si scorda il mestiere di segnare scendendo di classe. Finendo anche in prima categoria. Si è ritirato a 44 anni avendo seminato messe di reti in qualsiasi serie.
Perché Dario Hubner non esercitava la professione del calciatore.
Lui, di mestiere, faceva gol. Calcio Graffiti
Record: 676 presenze in carriera 348 gol