La responsabilità è un macigno che ti può schiacciare. È un peso che ti blocca. Che ti impedisce di muoverti. E tu vorresti fare quello che il tuo corpo solitamente fa. Ma niente. Come se si insinuasse canaglia nei muscoli e li contraesse. A bloccare ogni gesto che per te è naturale.
Capita allora che nell’Europeo del 1992 venga a mancare la Jugoslavia. Per una guerra che urla nel cuore dell’Europa. A ricordare che il mostro si può sempre risvegliare. E venga chiamata la Danimarca. Quando tutti ormai si godevano le vacanze. Quando erano sulla spiaggia a sorseggiare un drink e a permettersi ciò che l’agonismo non ti concede. Quando l’unica attività era proteggersi dai raggi solari con un po’ di crema e occhiali da sole.
Come una Cenerentola al ballo. Invitati all’ultimo momento. A coprire una falla. A riempire un vuoto. A fare presenza. Ché non si è certo tra i favoriti. E così si raggiunge la vicina Svezia senza una preparazione, senza la giusta concentrazione, senza quei ritiri che fortificano il gruppo.
Senza responsabilità.
E allora te la giochi con leggerezza. Perché tutto quello che viene è un di più. Ché non dovevi neanche essere lì. Senza quella pressione che ti opprime. E tutto ti vien facile. Dopo un inizio stentato, arrivano i successi con gli squadroni. Inattesi. Con tutti lì a guardare sbigottiti l’ospite inaspettato che anima la festa.
Battendo in ordine Francia(nel girone), Olanda campione d’Europa (semifinali), Germania campione del mondo (finale). La piccola nazione danza leggera sui potentati del calcio. Libera di cuore e di mente.
Così racconta un’altra fiaba al mondo. La Danimarca, il paese delle fiabe. Calcio Graffiti