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COREA DEL NORD 1966

COREA DEL NORD 1966

Vivi chiuso nel tuo piccolo mondo. Con le sue regole e la sua rigida ideologia. E con la disciplina della vita militare. Mentre dall’altra parte del parallelo i tuoi fratelli guardano all’Occidente. E poi finito il lavoro prendi un pallone e giochi. Con l’impegno e la dedizione che ti è stato insegnato dal Partito. Perché quello non è il tuo mestiere. Ma viaggi nel mondo rappresentando il tuo paese. E quello è l’unico modo per evadere dai confini.

Capita che nei Mondiali del 1966, in Inghilterra, La Corea del Nord sia l’unica rappresentante asiatica. Un continente lontano dal centro del pallone. Che guarda con rispetto e ammirazione al calcio dei grandi. E si trovi nel girone con Urss, Cile e Italia.

Squadre materasso le chiamano. Quelle che ti rendono agevole il cammino. Come un soffice dormire. E in effetti la prima partita finisce con la vittoria dei “compagni sovietici”. Ma nella seconda contro il Cile c’è il primo pareggio. La squadra materasso si rivela poco malleabile. Perché lotta e corre. Come avesse un fine più grande da perseguire. Come combattesse per un’idea.

Così arriva la partita decisiva del girone. Con l’Italia di Fabbri. Professionisti che del pallone fanno mestiere. Che la domenica sentono il boato dello stadio mentre escono dal tunnel. Che ascoltano il loro nome acclamato dalle tribune. Tanto da far parte dell’immaginario collettivo. Al centro della vita di tutti.

Mentre dall’altra parte, si fanno altri mestieri. E il pallone è il diletto del dilettante.

Partita semplice per giocatori abituati a ben altri avversari. Una formalità. Come quelle partite di allenamento in ritiro contro la rappresentativa della Val di Fiemme.

E invece tutto si trasforma in un incubo. E ciò che solitamente ti riesce a facile, diventa maledettamente complicato. Perché questi giocano, pressano e corrono. Ed è difficile distinguerli, i giocatori. Come api operose, sciamano per il campo. Non facendoti pensare. Affrettandoti i colpi. Tanto che ti vuoi liberare il prima possibile del pallone. E tanto insistono che Pak Doo-Ik segna. Un dentista secondo la leggenda. In realtà un ufficiale dell’Esercito, come molti di loro. E così ti sale l’ansia. Perché non puoi perdere con dei dilettanti asiatici. Tu che vieni lautamente retribuito per calciare il pallone. Ma niente. Tutto prende il carattere dell’angoscia che ti blocca, ti immobilizza e ti rende impacciati i movimenti.

Così la Corea del Nord vince e si qualifica ai quarti. Dove incontra il Portogallo. E per poco non ci scappa una nuova impresa. Perché i coreani vanno in vantaggio per 3-0. Ma poi una saetta nera di nome Eusebio decide che la favola asiatica debba concludersi lì. E la partita finisce 5-3 per il Portogallo.

La nazionale coreana nel 1966 uscì dai suoi stretti confini e insegnò ai professionisti la mentalità dei piccoli. Quella capace di superare le barriere della tecnica e dei soldi. Calcio Graffiti