Cinquemila abitanti. Quanto un piccolo quartiere. Nascosto tra i monti. Al confine tra Abruzzo e Molise.
Qui il calcio è quello di provincia. Quello degli amatori. Quello dei campi in terra o peggio in ghiaia. Fatto per far divertire i giovani. O per classici motivi di campanile. A rivaleggiare coi paesi vicini. Ad accampare un primato nel territorio.
Il municipio, la chiesa e il campo di pallone. A determinare una sorta di triade istituzionale. A caratterizzare la vita del paese.
La squadra fa classicamente l’ascensore tra la seconda e la terza categoria. Finché qualcuno non decide che sul calcio si può investire. L’imprenditore Pietro Rezza e il suo intraprendente nipote. Quel Gabriele Gravina che diventerà poi presidente federale.
I soldi non sono tutto ma di certo aiutano. E così nel giro di pochi anni il piccolo paesino montano arriva tra i professionisti. È il 1989. Già un grande traguardo da queste parti. Da rendere orgogliosa una comunità intera. Ci rimarrà per sedici lunghi anni.
Dopo anni a galleggiare in serie C2, arriva Osvaldo Jaconi. Un’investitura importante. Perché in queste serie il mister Jaconi è ritenuto un “mago”. Uno che di promozioni se ne intende.
Uno di quegli allenatori che lavorano sulle motivazioni. Sul caricare l’ambiente. Con quello spirito pratico di chi schiera la squadra con raziocinio e solido senso di realtà.
Così nel 1995 il Castel di Sangro arriva in C1 e nel 1996 in una drammatica sfida con l’Ascoli, a Foggia, conquista la serie B. Ai rigori. Grazie anche ad una mossa imprevedibile del “mister”. Che sostituisce prima dei calci di rigore il portiere titolare. Perché Jaconi è uno che sa leggere le partite. Che le interpreta seguendo l’esperienza. E il portiere di riserva Spinosa para il rigore decisivo.
Il piccolo paese di montagna arriva in serie B. Per una cavalcata impetuosa che in due anni lo porta dalla SerieC2 alla serie cadetta. E diventa un fenomeno di costume. La favola della piccola che si fa grande. Che rivaleggia con le squadre delle grandi città come Genoa e Torino. La classica storia di Davide contro Golia. Con uno stadio che, una volta terminato, avrà più posti a sedere dei suoi stessi abitanti.
E tra le grandi di Serie B la favola continua. Pur tra vicissitudini funeste (la morte di due giocatori per incidente stradale e un arresto per spaccio di un altro) ripropone le stesse armi sfoggiate in C. Determinazione e orgoglio di provincia. E si salva. Uno scudetto da queste parti.
L’anno seguente è quello della smobilitazione. Venduti i pezzi migliori, il Castel di Sangro retrocede. E dopo aver militato in serie C per molti anni fallisce nel 2005. Come spesso capita nelle serie minori.
Dopo un altro fallimento, adesso il Castel di Sangro milita in eccellenza. Rappresentando ancora l’orgoglio di quella cittadina.
Ma chi ha assistito agli anni della B potrà raccontare ai nipotini la favola di un piccolo paese di montagna che conquistò la Serie B.