Non puoi rinunciare a quella sensazione. A quel vuoto nello stomaco. A quel groppo in gola. Quando fendi l’aria. A 300 km/h. Tradendo le leggi di natura che ti vorrebbero ancorato al terreno. A crearti un cunicolo nella resistenza del vento.
Così il paesaggio al tuo fianco scorre veloce. E ti senti potente. Perché hai vinto la natura. E adesso corri come corrono le nuvole per aria. Senza limiti. Senza ostacoli.
Ayrton Senna si sentiva se stesso solo vivendo questo brivido. Con il corpo teso ad accompagnare la velocità. La sua dimensione.
Unendo la spericolatezza dell’acrobata alla lucidità dello scienziato. Il piacere sublime dell’andare-oltre all’azione ragionata. Cervello e istinto che si incontrano.
Per creare un uomo che trova la sua dimora sulla strada. Dominandola anche quando lei si imbizzarrisce sotto le ruote. Anche quando la pioggia crea infidi rigagnoli. Quando sembra che la macchina non segua più i comandi del suo padrone, Lasciando traccia dei suoi pneumatici come stimmate sulle mani. Assecondando sempre quel brivido che non ti abbandona mai.
È irrinunciabile quel brivido. Che diventa più forte ad ogni curva. Con la morte che ti guarda famelica. Pronta ad accoglierti tra le sue braccia. E quel carezzare la fine te la fa ancor più eccitante la vita.
Finché il primo maggio del 1994 lei ti sorprende e allunga la sua tagliente falce. Dopo una vita a prendersi gioco di lei. A girarle attorno gridandole “Prova a prendermi”.
E muore sulla strada l’uomo che della strada aveva fatto la sua dimora.