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AL BAR DELLO SPORT

AL BAR DELLO SPORT

“Ci pensi vincere al totocalcio? Sicuramente scapperei da amici e parenti.”

Su questa domanda vive il film. Pensato quando la schedina rappresentava il sogno imperituro degli italiani. Una sorta di valvola di sfogo della fantasia a vaneggiare un futuro migliore. Possibile perché c’era sempre un parente, un amico, un amico dell’amico che aveva vinto e si era aperto un ristorantino. E magari aveva abbandonato quel lavoro sottopagato che lo faceva soffrire. Una sorta d’idea che la vita potesse cambiare d’improvviso, senza difficili costruzioni, senza complicazioni. Solo una fortunosa combinazione di tre segni: 1X2.

Su questo luogo comune si innesta il film e la comicità di Lino Banfi. Che a questo aggiunge lo stereotipo del meridionale squattrinato e disoccupato. Che vive al Nord dalla sorella, vessato da cognato (polentone) e nipotino logorroico. Con Lino Banfi che è tanto meridionale e i torinesi che sono tanto torinesi. Esagerazione dei caratteri tipica della commedia che fa trasformare tutte le A in E. PAROLA HA PARLETO.

Ma lo stato di sudditanza si capovolge quando il Catania vince incredibilmente a Torino con La Juve, trasformando la schedina in uno scrigno d’oro. La sorpresa che solo la divinazione di un muto (Jerry Calà) poteva pronosticare. E di qui la corsa a fuggire da parenti e amici che al bar cercano di identificare il vincitore con IL MOVIOLONE.

Con un racconto che parla, nel suo essere fortemente macchiettistico e caricaturale, di un paese in cui le divisioni tra Nord e Sud sconfinavano nel razzismo culturale. In cui il denaro rappresentava la chiave per essere accettati in una comunità che ti era inizialmente ostile.

Nell’immaginario dei calciofili, la schedina è stata sostituita dalle scommesse. Più scientifiche, più matematiche. Meno evocative. Calcio Graffiti