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ABEBE BIKILA

ABEBE BIKILA

Nasci in un villaggio dell’Etiopia. Dove le strade sono fatte di pietre e terra.  E aiuti tuo padre pastore. Correndo su e giù. Così che i tuoi piedi si fortificano. Induriti dal sole e dalla durezza del suolo.

Così, i polmoni, il cuore, i muscoli, si abituano alla fatica.  A raggranellare l’ultima goccia di ossigeno disponibile. A tollerare il ticchettare del cuore che pulsa irrefrenabile. A sopportare l’acido lattico che punge i tuoi polpacci.

Così quando arrivi nella capitale del mondo antico per vivere il sogno di Olimpia, tutto quello che hai vissuto rinasce improvviso. Come fosse un’eredità. Come carne viva sulla tua pelle. A ricordare le origini. A rammemorare chi sei.

E ti disfai delle scarpe. Perché troppo strette. Perché costringono i tuoi piedi liberi. Liberi di muoversi. Di far corpo unico con la strada che calcano. Così che il tuo corpo sente e vive il terreno sotto di te. Come un elemento naturale.

Così circondato dalla maestosità delle vestigia, corri la tua maratona. A piedi nudi. Come quando percorrevi, veloce, i sentieri pietrosi da bambino. E ti guardi attorno, mentre il sole man mano svanisce, ad ammirare il fascino antico e decadente della Città Eterna.

Così pian piano, gli altri atleti, vinti dall’agonia dello sforzo e dalla fame di aria, si staccano. Mentre tu continui a sostenere la tua andatura leggera. Indifferente a tutto il resto. Come fosse il più naturale dei gesti. Rigettando la potenza. Quasi appoggiando con delicatezza i piedi sul terreno.

E accompagnato dalla fiaccolata notturna che ti segna la via, arrivi per primo al traguardo. Conquistando il più antico degli allori. Il primo oro del continente africano.