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MARAKANA, L’INFERNO DI BELGRADO.

MARAKANA. L’INFERNO DI BELGRADO.

Cento passi. Quelli che dividono gli spogliatoi dal campo. Per percorrere un tunnel. Di cemento. Come fosse una costruzione in disuso. Di quelle strutture abbandonate dove la natura si riappropria degli spazi. Calcestruzzo tra erbacce e rovi spontanei.

E mentre lo percorri, lui si fa sempre più angusto. Ti stringe. Quasi che le pareti ti venissero addosso. Con quelle scritte biancorosse. Che sembrano una minaccia. Con la durezza del cirillico.

E di fianco la polizia in divisa anti-sommossa. Che scandisce il tuo passo ritmando con il manganello.

E sembra non finire mai. Finché non senti un boato venire da fuori. Come se il tunnel incanalasse il fragore. E allora quel cunicolo diventa un riparo. Dal quale non vorresti staccarti. Perché fuori ti attende quell’urlo. Tanto che le gambe rallentano nella speranza di bloccare il tempo.

Finalmente sei fuori. E davanti a te un incendio. La curva infuocata. Come un palazzo in fiamme. Con lo strepitio delle bombe a far sobbalzare il cuore.  E una coltre di fumo che si spande dappertutto. E l’aria che diventa irrespirabile.

La partita inizia. E senti quel boato sordo rincorrerti. E attentare alla tua incolumità.

E speri solo che tutto finisca presto.