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90⁰ MINUTO. LA SIGNORILITÀ DI PAOLO VALENTI

90⁰ MINUTO. LA SIGNORILITÀ DI PAOLO VALENTI

C’era un tempo in cui il calcio era un racconto. Che passava dalle radio alla televisione. Perché il campionato in diretta televisiva era solo nei sogni di qualche visionario. E allora si doveva seguire la programmazione della Rai.

Abbandonata la radiolina, si rimaneva in attesa dei gol. Il racconto radiofonico si doveva trasformare in immagine. Tanto che li descrivevi nella mente i gol. Li anticipavi con la fantasia.

E poi intorno alle 18 partiva la sigla con  la stadio che si riempiva. Aspettando la gente che tornava dalla partita. E ci accoglieva il saluto di Paolo Valenti. A mostrare subito garbo e professionalità. Ma con quel celato sorriso nel volto a palesare l’ironia di chi si occupa di un gioco. 

Perché in verità dietro quell’eloquio signorile si nascondeva un capocomico. A guidare una banda di teatranti. Che descriveva un’Italia dei campanili. Con le sue diversità espresse dalla mimica e dagli accenti. Tanto da fare di ogni inviato una maschera da commedia dell’arte. In cui ogni giornalista diventava espressione di una città. La rappresentava.

Così Bubba da Genova, Necco da Napoli, Giannini da Firenze, Strippoli da Bari, Castellotti da Torino diventavano i personaggi di una pièce domenicale. E diventavano luoghi comuni da citare nelle discussioni. Come il riporto di Strippoli, la cravatta di Castellotti o il pianto di Tonino Carino. Il più iconico dei corrispondenti.

Una formula perfetta in cui il calcio veniva mostrato nei suoi momenti salienti. Come la vita senza la quotidianità. E poi il commento del giornalista che delle volte canzonava un’altra piazza. Come il gioco degli sfottò tra Gianni Vasino e Luigi Necco.

Le dirette televisive e il calcio spezzatino la rendono ormai una trasmissione superata. Di cui fruiscono solo i ribelli al sistema e qualche spettatore disinteressato.

A noi rimane il ricordo di un programma che raccontava l’Italia attraverso il calcio.